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Il bello della diretta

Ha iniziato la Televisione, sfidando la finzione dei programmi registrati. Ma oggi il mondo dei social le ha esaltate: le dirette su Facebook, Youtube, Instagram, TikTok hanno rivoluzionato il nostro modo di comunicare e di presentarci al prossimo. Il mondo dei social ha fatto della diretta, ovvero un video trasmesso in tempo reale, mandato in onda nello stesso momento in cui viene realizzato, una delle modalità più caratteristiche dell’attuale società. Il vantaggio, innegabile, è che possiamo condividere emozioni, situazioni, narrazioni dal vivo, quando accadono, situate in luoghi in cui ci troviamo. Lo svantaggio è quello che nell’improvvisazione errori, inconvenienti, imprevisti sono dietro l’angolo. Occorre essere bravi a gestire le situazioni, e a trasformare eventuali imperfezioni in punti di forza.

Vi sono però due aspetti che fanno riflettere. Il primo: le dirette sui social sono beni di consumo immediato, perché la loro vita è generalmente molto breve. Sono pensate per colpire e sparire, sono destinate a essere digerite velocemente e altrettanto velocemente sostituite. In questo senso non è semplice spiegare, argomentare, pensare: tutto è fatto per essere “sparato e dimenticato”. Vi sono però due aspetti che fanno riflettere. Il primo: le dirette sui social sono beni di consumo immediato, perché la loro vita è generalmente molto breve. Sono pensate per colpire e sparire, sono destinate a essere digerite velocemente e altrettanto velocemente sostituite. In questo senso non è semplice spiegare, argomentare, pensare: tutto è fatto per essere “sparato e dimenticato”.

Il secondo: nelle dirette social vi è una attenzione ossessiva ai like, alle presenze. Chi è collegato? Quanti siamo? Mille, duemila, tremila…una sorta di ansia da prestazione a me difficilmente comprensibile. Rilassiamoci di più. Una diretta ha valore per ciò che riusciamo a comunicare, cioè non solo a trasmettere ma a mettere in comune con l’altro. Il numero certo fa piacere, ingolosisce. Ma non è quello il senso, non è quella la misura che dobbiamo cercare. Una diretta è come un salto senza rete, è l’unico, il sorprendente che prende vita. è , ovviamente, un rischio. Mi piace pensare che, come molte cose nella vita, c’è chi ci deve essere. E forse chi c’è sempre stato. Pianificare, programmare, ottimizzare è un altro gioco. La diretta è una occasione di incontro. A prescindere dal numero, occorre ringraziare e premiare chi c’è, per scelta o per caso. Far questo significa scoprire, nel profondo, la magia dell’incontro, seppur virtuale. E saper ringraziare.

Simone De Clementi

Oltre la comunicazione: l’azione verbale come via per il Nuovo Mondo

“Dio si manifesta in ogni cosa, ma la parola costituisce

 uno dei Suoi mezzi preferiti per agire, giacché esso è il pensiero trasformato in vibrazione.

Parlando, introduci nell’aria intorno a te ciò che prima era soltanto energia.

Stai sempre molto attenta a tutto quello che dici – continuò Wicca. La parola possiede un potere più

 grande di molti rituali”.

(Paulo Cohelo)

“Siamo il respiro di una narrazione vivente che si nutre di testi.

Un buon cibo dona gioia e una buona vita ”.

(Simone De Clementi)

Le parole sono importanti. Le parole fanno, creano mondi. In questi giorni ne abbiamo prove tangibili. La nostra vita ha avuto una variazione di qualità, verso il basso, non tanto per il diffondersi di un virus, quanto per la narrazione di questo evento. La narrazione presentata, da giornalisti, scienziati, politici, autorità è stata per lo più volta a colpire i nostri pensieri e le nostre emozioni portandoci verso uno stato di non salute. Come? Beh, è semplice: ogni pensiero, ogni riflesso a livello della mente fa attraversare a tutta la nostra chimica interna un cambiamento. Il nostro corpo sta meglio o peggio con il variare delle parole che ascolta, che dice, che pensa. E il cambiamento provocato dalla narrazione in questo inizio 2020 non è certo stato bello.

Il cattivo uso della narrazione è un fenomeno che accade spesso. In modo consapevole a volte, inconsapevolmente altre: il fatto è che non vi è molta differenza, gli esiti sono quello che conta. La soluzione è facile ed è a nostra portata. È una soluzione innovativa, poiché l’innovazione passa da molte strade. Vi sono eventi che, se ce ne accorgiamo, ci danno la possibilità di migliorare, di evolvere, di fare qualcosa di davvero importante per noi e per gli altri tra moltissime cose che facciamo soltanto per obbligo o per routine. I mutamenti ambientali, i flussi migratori e la loro gestione, le condizioni economiche dei nostri tempi, gli allarmi epidemiologici collegati alle emergenze sanitarie e molti altri segni raccontano, se ci facciamo caso, di competenze su cui investire. Competenze utili, se non indispensabili, per abitare i tempi che ci stanno venendo incontro.

“Parole oltre la cornice”
(foto di Elisabetta Arici)

Mai come ora appare evidente che nel Nuovo Mondo, nella società che è alle porte, le cosiddette competenze relazionali (soft skills) saranno necessarie per collaborare, per convivere, per realizzare business e servizi, per fare un salto di qualità nella politica, nella Pubblica Amministrazione, nella Scuola, nella sanità e nel sociale, nell’impresa. Ovunque. Andranno a permeare ogni segmento della società in modo importante, non per obbligo ma per richiesta. Saranno in una parola strategiche e di fatto lo sono già: il fatto è che non ci abbiamo dato troppa importanza, ci abbiamo pensato poco.

È giunto il tempo di occuparcene, perché il risultato che possiamo ottenere è il miglioramento della nostra vita, della nostra convivenza civile. Certo, queste competenze vanno profondamente ripensate. Nell’ultimo decennio si è investito con più o meno convinzione soprattutto sull’area “comunicazione”. Molte volte con qualità e progettualità, altre volte con approssimazione; a volte con interessanti sperimentazioni, altre volte con luoghi comuni e inesattezze. Chi ha puntato davvero sulla qualità ne ha tratto giovamento, in ogni contesto: interno, esterno, nelle vendite, nel marketing, nel miglioramento del benessere lavorativo, nella motivazione di individui e gruppi.

Oggi sono dell’idea che questo paradigma vada profondamente rivisto. Per penetrare con più precisione e coscienza nell’argomento e, soprattutto, per rendere queste competenze effettive nella realtà odierna, profondamente differente da ciò che è stato.

È tempo di cambiare visione passando dal concetto di comunicazione, parola di trasmissione e passività, di equivoco e di opinione, a quello di azione verbale.  L’azione verbale è la coerente corrispondenza tra parole pensate, pronunciate o scritte e azioni, tra codici di comportamento e comportamenti, tra regole e gioco, inteso nel senso ampio di ogni attività organizzata umana. L’azione verbale si occupa delle relazioni e delle interazioni che si creano tra le persone, partendo dalle parole.  È qualcosa di ampio, di vasto, di attivo che prevede comportamenti basati sulla reciprocità, capaci di stimolare la critica e la crescita conseguente di singoli e gruppi al fine di ottenere un incessante miglioramento dei soggetti interessati e, addirittura, delle istituzioni stesse. L’azione verbale è capace di andare oltre la spinta corporativa e settoriale che vede tante piccole realtà dialogare al loro interno senza riuscire a rapportarsi con gli altri, tante famiglie sociali e professionali chiudersi al loro interno, con i propri linguaggi, i propri segni, i propri riti senza trovare intersezioni di interessi e di intenti.

L’azione verbale è poi un’azione testuale, cioè un’attività capace di prendere in considerazione ogni testo: immagini, suoni, parole, simboli, gesti, abiti sono tutti esempi di “textum”, ovvero di intrecci di interazione. Una parola giusta può in sintesi essere smentita da un’immagine, da un suono, da un gesto e viceversa. Ogni testo è capace di creare un mondo e la scelta consapevole delle parole è in grado di mutare il mondo in cui ci troviamo a vivere. Abbiamo nelle nostre mani insomma una grande responsabilità.

È subito chiaro che le varie forme in cui la comunicazione è stata declinata, come per esempio “comunicazione per vendere”, “comunicazione assertiva”, “comunicazione di crisi” eccetera, vengono molto ridimensionate per lasciare più spazio a una cornice più grande, più completa, che pur affrontando le specifiche di particolari situazioni trova unità in una visione più generale, “olistica” nel significato etimologico del termine. In questa cornice occorre lavorare sulle competenze relazionali in profondità, costruendo una metacompetenza capace di coinvolgere attivamente le persone. Le metodologie didattiche adatte al compito sono più fluide di quelle tradizionali e basate sul gioco, sulla rappresentazione, sulla conoscenza dei punti di forza e dei punti di debolezza dell’individuo e sull’espressione in situazione dei contenuti appresi. Teoria certo, ma soprattutto una costante pratica, un lavoro di affinamento progressivo con un costante aggiornamento. In questa cornice l’altro è visto come alleato, come elemento allenante che sprona a ottenere sempre migliori risultati. La competizione lascia il posto alla collaborazione, alla correzione reciproca tesa al raggiungimento dei risultati migliori.

È facile entrare con gioia in tempi migliori, con la coscienza e la consapevolezza che siamo noi a crearli, ogni giorno, con le nostre scelte. E con le nostre parole. Se vogliamo davvero innovare e cambiare il nostro Paese, Pubblica Amministrazione in primis, è importante aiutare tutti, dipendenti, dirigenti, decisori politici ed economici, cittadini a fare un salto di qualità. Per il loro bene, per il nostro. Occorre fare certo, ma occorre anche scegliere le parole giuste, i testi più efficaci. Saranno proprio queste nuove modalità a costituire un nuovo Filo di Arianna capace di condurci in quella che Karl Popper definiva “Società Aperta”.

Nuovi contenuti, nuove modalità didattiche, nuovi obiettivi. Corsi che sono percorsi di vita, di esperienza, di consapevolezza. Ingredienti nuovi e magici per cambiare la solita zuppa. Le idee ottime hanno fatto il loro tempo: è tempo di creare qualcosa di veramente straordinario.

Simone De Clementi

WWW: la sfida della rete

“Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto” 
Horacio Verbitsky

“In rete c’è tutto, e di più. In fondo come nella vita. La soluzione non è quella di  normare, di chiudere, di proibire. la soluzione è nell’educare le persone a scegliere . E a farlo bene e nel bene”

(Simone De Clementi)

 

La chiamano l’altra informazione. Per distinguerla da quella “ufficiale” dei giornali, delle televisioni, delle istituzioni. A me piace considerarla semplicemente informazione, perché dà la possibilità di acquisire notizie spesso non fornite adeguatamente dalle fonti ufficiali. Per interessi, per negligenza, per scelta, perché descrivere il mondo in un certo modo è più funzionale e pratico. Per chi ha il potere.

Nell’era di Internet e dei social network, una concreta possibilità di diffondere il sapere, i fatti, le notizie è data a ciascuno di noi. Certo, bisogna saperlo fare. Bisogna saper comunicare, almeno un po’.

La formula più interessante al momento mi sembra quella del  narratore della rete: scrive, informa, è capace di fare video e fotografie, sa editare un testo e sa condividerlo. A volte può addirittura smuovere gli animi per una causa e fare Fund raising. E può perfino descrivere la bellezza del mondo, il suo positivo, quello che ci hanno insegnato a non dire perché non vende.

Possiamo portare testimonianza di fatti importanti. Possiamo dar voce a chi non l’ha. Possiamo fare in modo di diffondere sapere, possiamo provare a svegliare le coscienze. Possiamo denunciare e riconoscere cose fatte bene.

Con la rete i canali ufficiali, in fondo conformati e conformisti, non possono più solo manipolare, ma devono avere il coraggio di rilanciare. Non credo che i media tradizionali  moriranno, né me lo auguro. Sarebbe bello che cambiassero, che riprendessero a narrare fatti, diversi e in modo diverso.

A guidarci nel mare della rete, nell’Oceano della Comunicazione deve esserci  lo spirito critico. La capacità di verificare e falsificare. La voglia di approfondire.

Forse proprio quello a cui in fondo i media ufficiali hanno da qualche anno rinunciato.

Simone De Clementi

"il narratore" foto di Elisabetta Maria Arici

“il narratore”
foto di Elisabetta Maria Arici